Marco Bellocchio Leone d'oro alla carriera 2011

È stato attribuito al regista italiano Marco Bellocchio — una delle personalità più influenti del cinema italiano degli ultimi decenni e uno tra i maggiori autori del cinema contemporaneo — il Leone d’oro alla carriera della 68ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre 2011).

La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra Marco Müller, il quale ha scitto: «Seguire il cinema di Marco Bellocchio ti porta, in ogni suo nuovo film, sempre verso altre destinazioni da quelle che ci sembrava di aver raggiunto e scoperto. Camminatore instancabile, traghettatore di idee, esploratore del confine instabile tra se stesso, il cinema e la storia, ha utilizzato come mappa, per orientarsi, il mondo che comincia oltre i confini della realtà visibile (e nell'inconscio). E ha così trovato i modi di espressione più vitali e "giusti" — per raccontare l'urgenza di saperi, individuali e collettivi, indeboliti, o svaniti».

Consacrato già al suo film di debutto, I pugni in tasca (1965), come uno degli autori di riferimento del Nuovo Cinema, Marco Bellocchio ha dovuto faticare non poco per “liberarsi” da quel successo inatteso e ingombrante. Vi è riuscito cimentandosi su più fronti: l’eccitazione visionaria di Nel nome del padre (1971), il classicismo di Marcia trionfale (1976), lo psicodramma de Il gabbiano (1977). Per trovare, con Salto nel vuoto (1980), un equilibrio fra tendenza alla grande prosa e tensione verso il cinema di poesia. Questo gli ha consentito, a partire dall’incandescente Diavolo in corpo (1986), di approfondire la propria ricerca di un cinema in presa diretta sulle pulsioni dell’inconscio, sino al formalismo di La condanna (1991) e allo sperimentalismo de Il sogno della farfalla (1994). Con la messa in scena della notte dell’inconscio ne Il principe di Homburg (1977), Bellocchio ha voluto oggettivare (coniugandoli al passato in La balia (1999) e al presente in Buongiorno, notte (2003) e in L’ora di religione, 2002) i temi che per anni l’hanno travagliato e appassionato. Di recente ha trovato anche la voglia di dare vita a esperienze di formazione e di co-realizzazione con dei giovani allievi (il laboratorio “Fare Cinema”, che organizza ogni anno a Bobbio), dalle quali prende origine Sorelle mai, presentato Fuori Concorso alla Mostra 2010.

Il successo internazionale di Vincere (2009) conferma la posizione di Marco Bellocchio, accanto a Bernardo Bertolucci (Leone d’oro del 75º nel 2007) ed Ermanno Olmi (Leone d’oro alla carriera nel 2008), come uno dei tre maggiori cineasti italiani in attività.

Marco Bellocchio è stato più volte protagonista alla Mostra di Venezia, dove ha presentato il suo secondo lungometraggio La Cina è vicina (1967), che ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria. Successivamente ha presentato nel 1975 Matti da slegare in Proposte di nuovi film, quindi nel 1980 il mediometraggio Vacanze in Valtrebbia in Officina Veneziana, e nel 1982 Gli occhi, la bocca in Concorso. Due le partecipazioni negli anni ’90, con il cortometraggio Il sogno della farfalla (1992) e il mediometraggio La religione e la storia (1998). Nel 1997 è stato Presidente della Giuria di Corto Cortissimo, e nel 1999 ha fatto parte della Giuria del Concorso presieduta da Emir Kusturica. Nell’ultimo decennio ha presentato nel 2002 il mediometraggio dedicato a Verdi Addio del passato (Nuovi Territori), nel 2003 in Concorso Buongiorno, notte, che ha ricevuto un premio speciale, e nel 2010, Fuori Concorso, Sorelle mai.

Sarà Bernardo Bertolucci a consegnare a Marco Bellocchio il Leone d’oro alla carriera della 68ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre 2011), diretta da Marco Müller e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.

A Bernardo Bertolucci è stato attribuito nel 2007 a Venezia il Leone d’Oro del 75º, il premio eccezionale istituito per celebrare, attraverso di lui, 75 anni della storia dell'arte cinematografica che nella Mostra si incarnano.

Bertolucci esordì come regista proprio a Venezia con La commare secca (1962), e l'anno prima era stato alla Mostra come aiuto regista dell'esordiente Pier Paolo Pasolini con Accattone (1961). In seguito, altre importanti opere di Bernardo Bertolucci sono state presentate in prima mondiale al Lido: Partner (1968), Strategia del ragno (1970), La luna (1979) e The Dreamers (2003). Nel 1983 Bertolucci è stato presidente della Giuria Internazionale del Concorso della 40. Mostra, che assegnò il Leone d’oro a Prénom Carmen di Jean-Luc Godard.

''Mi onora e mi commuove che sia Bernardo Bertolucci a consegnarmi il Leone — ha dichiarato Marco Bellocchio — Pur percorrendo strade diverse, c'è sempre stata tra noi due reciproca attenzione e stima. E affetto.

Due prestigiosi premi alla carriera (la Palma alla carriera a Bernardo e il Leone a me) nello stesso anno sono, oltre che un riconoscimento artistico importante, l'immagine di una ripartenza per altre avventure umane e artistiche che spero possano durare ancora a lungo''.

La cerimonia di premiazione, con l’eccezionale incontro fra questi due Maestri del cinema italiano, avrà luogo venerdì 9 settembre 2011, alle ore 17.00 nella rinnovata Sala Grande del Palazzo del Cinema (Lido di Venezia).

Sarà dunque una cerimonia di premiazione all’insegna delle sorprese, che verrà aperta con la proiezione del film-omaggio Marco Bellocchio, Venezia 2011 (12’), che il regista Pietro Marcello (Il passaggio della linea, La bocca del lupo) ha realizzato per l’occasione e che ripercorre l’opera del grande regista.

Straordinaria 'autobiografia attraverso i film' (a partire dai provini di ammissione al CSC e dal potente primo corto Abbasso il zio, usato come filo conduttore) il film breve di Pietro Marcello riesce a ripercorrere in 12' l'itinerario creativo del regista piacentino, colto nella sua continua ricerca di una trascrizione della realtà, così come la interpretiamo nei sogni. Poema visivo e sinfonico (firmatissimo — da Ennio Morricone, Nicola Piovani, Carlo Crivelli), Marco Bellocchio, Venezia 2011 è scandito da un'andata e ritorno continua tra il passato e l'oggi (le sequenze che Marcello ha girato in luglio a Bobbio: il Bellocchio dell'officina permanente e dei progetti continui) — il ritratto fuori dal comune di un cineasta fuori dal comune.

A seguire, la versione di Nel nome del padre (1971) "rivisitato" (ripensato e rimontato/rimissato) da Marco Bellocchio (80’).

Per la prima volta, non un restauro ma una nuova opera inedita e “attuale”, realizzata dal regista a partire dai materiali del film stesso. Un singolare Director's Cut che invece di durare parecchi minuti di più, risulta più corto rispetto alla prima edizione: 80’ per questa nuova versione “redux” di Nel nome del padre, contro i 105’ del film uscito in sala nel 1971.

Marco Bellocchio ha commentato a riguardo: «Non è stata un'idea fissa (niente di persecutorio) eppure in tutti questi anni (quaranta) mi è tornata in mente, a intervalli vari, anche lunghissimi, l'idea, la convinzione che Nel nome del padre non avesse ancora trovato la sua forma definitiva. Ne è la prova il fatto che dopo la prima proiezione pubblica (Festival di New York, 1971) Nel nome del padre è ritornato in moviola altre tre volte, quattro con quest'ultima revisione. Per una necessità (che in passato non vedevo, per paura di essere politicamente ambiguo o soltanto per un difetto di visione di insieme?) di liberare le immagini, nel senso di alleggerirle di quella pesantezza ideologica che le schiacciava, le soffocava... Immaginare liberamente era allora inconcepibile. Per cui tante immagini piene di parole che giudicavano, spiegavano, ripetevano le spiegazioni, citavano, sono cadute. Molta cultura, figlia di quegli anni, magari irrisa, in quest'ultima versione è stata almeno contenuta a favore della storia, dei personaggi, degli affetti più semplici e diretti. Ho tagliato, accorciato, non ho aggiunto nulla. Le "invenzioni" politiche nel film non mancano, assolutamente legittime (basti pensare alla lotta di classe tra servi e preti, del tutto inesistente nella mia esperienza di collegiale), ma forse manca quella passione, esaltazione, fede, cecità che aveva posseduto sinceramente Eisenstein quando faceva i suoi film di propaganda, che però erano e sono dei capolavori... Evidentemente ancora in quegli anni mi sentivo in obbligo di non tradire una sinistra rivoluzionaria in cui avevo brevemente militato... Liberare le immagini è stato privilegiare sempre quanto di lieve, di caldo, di paradossale, di surreale, di crudele anche, senz'essere gratuitamente sadico, di sarcastico, di irridente l'ipocrisia delle istituzioni... Beninteso il film, per quei pochi che si ricorderanno della prima versione italiana (che è poi la seconda versione), non è cambiato nei contenuti o nei significati, non è stato addolcito in alcun modo, non è meno violento, si può dire soltanto che in questa versione definitiva Nel nome del padre fa pensare un po' meno a Brecht e un po' di più a Vigo».

Riferimenti

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